‘Sabi’ [ 寂 ] è una parola giapponese - difficilmente traducibile in italiano - che originariamente significa ‘desolazione’ ma che nel corso del tempo acquisisce un significato estetico che esprime la bellezza di qualcosa che è invecchiata bene o che abbia acquisito una patina che la rende bella. Oggi il valore che esprime si è evoluto fino a identificare ‘il piacere che si trae dalle cose vecchie’ ma anche quello legato a ‘tranquillità, isolamento e solitudine profonda’.
Nella nostra cultura questo concetto è comparso e scomparso con un andamento quasi carsico. Per esempio, nel 1948 un'accesa polemica contrappose Roberto Longhi a Cesare Brandi dell’Istituto Centrale del Restauro. Lo scontro tra le due opposte concezioni avvenne pure su questo tema, e anche recentemente ci si confronta spesso sull' opportunità di 'ripuliture' troppo drastiche di alcuni monumenti.
Si veda: Cesare Brandi, The Cleaning of Pictures in Relation to Patina (1949) - “Burlington Magazine”.
Ma già nel Seicento la patina era considerata dagli artisti un ben definito dato tecnico e estetico. Si veda il termine “Patena” del “Vocabolario toscano delle Arti del Disegno” pubblicato nel 1681 da Filippo Baldinucci: “Patena. Voce usata da’ Pittori e diconla altrimenti pelle, ed è quella universale scurità che il tempo fa apparire sopra le pitture, che anche talvolta le favorisce”.
O il testo poetico di John Dreyden (1694):
Verrà del tempo la maestra mano
a dare all’opre tue l’ultimo tocco;
che colla bruna patina i colori,
ammorbidisca, e accordi; e quella grazia
aggiunga lor che sol può dare il tempo;
porti il tuo nome a’ Posteri, e più rechi
bellezze all’opre tue che non ne toglie.